mercoledì 25 aprile 2018

Privacy, la rivoluzione silenziosa

Manca solo un mese all'applicazione del Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati Personali, che andrà di fatto a sostituire le normative nazionali attuali (in Italia il Codice Privacy del 2003). Ne avevo parlato in un post circa 6 mesi fa, quando avevo appena iniziato ad occuparmi di questo tema (che ora sta diventando il mio lavoro), evidenziando le poche, anche se significative, novità dal punto di vista dei cittadini. Oggi, dopo mesi di studio, lo faccio di nuovo, con una prospettiva diversa: quella della vera rivoluzione che riguarda più coloro che lo devono mettere in pratica (aziende, associazioni, enti), che però avrà notevoli effetti sui tutelati, cioè tutti noi.

Rivoluzione, dicevamo: quella per cui si passa da un normale insieme di obblighi più o meno uguali per tutti, al principio di responsabilizzazione di chi tratta i nostri dati personali. Infatti, il senso ultimo del Regolamento si potrebbe riassumere in questo modo:
A te, azienda/associazione/ente che legittimamente li utilizzi, i dati personali vengono affidati dai legittimi proprietari, a condizione che tu li custodisca al meglio delle tue possibilità.
La pratica, senza entrare troppo nei dettagli, è che ogni titolare deve autonomamente decidere, entro i limiti dettati della norma, come trattare i dati personali che raccoglie e detiene. Ma ciò che ritengo più interessante è invece un altro aspetto: il legislatore cerca di imporre la visione per cui le persone che hanno i poteri decisionali nelle aziende devono immedesimarsi nelle persone di cui trattano i dati, valutandone le legittime aspettative, ed adoperandosi di conseguenza; anche in considerazione del fatto che chi in un contesto rappresenta colui che usa i dati personali, in altri è invece colui a cui appartengono. Spingendomi probabilmente oltre le reali intenzioni, è quasi come se venisse applicato all'uso dei dati personali l'insegnamento evangelico: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.

Lo scopo è chiaramente l'effettiva tutela di quello che è considerato uno dei diritti fondamentali dell'uomo, tant'è vero che la norma non si applica solo ai cittadini europei, ma anche a coloro che temporaneamente ricadono sotto la giurisdizione europea; e contemporaneamente, si applica anche ai soggetti extra-UE che forniscono servizi ai cittadini europei, indipendentemente da dove essi si trovino fisicamente.

Quindi tutto bene? Sicuramente no. Chi normalmente dimostra di non avere rispetto dei diritti altrui non ne avrà nemmeno in questa occasione; in questo caso, si spera che siano le salatissime sanzioni previste a fare giustizia. La speranza, però, è che questo principio faccia breccia nelle persone oneste ed abbia l'effetto di motivare coloro che, pur nel pieno rispetto della legge, ritengono la protezione dei dati personali, così come altri temi, solo un altro adempimento burocratico a cui dare il minimo dell'importanza possibile.
Ancora una volta, non è la legge da sola a poter cambiare le cose: serve che il tema della privacy venga, prima di tutto, sentito da tutti come uno dei diritti irrinunciabili.

L'importanza del Regolamento viene anche dimostrata da come le grandi aziende del web stanno affrontando l'adeguamento (secondo alcuni con timore): le nuove privacy policy stanno iniziando a farsi vedere, ma per un'analisi dettagliata vi rimando ad un futuro post.

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