sabato 27 gennaio 2018

Un post è per sempre

Tempo di elezioni. Tempo di esternazioni. Uno strazio. Però anche tempo in cui è più probabile trovare materiale per riflettere sui post dei social. Sì, perché capita sovente in questi giorni di sentire ai TG di un qualche politico che prima scrive un post "infelice" su Facebook o Twitter (tipicamente) o altri social, e poi lo rimuove dopo le immancabili polemiche.
Proprio perché siamo sotto elezioni, il meccanismo viene esasperato: giornalisti e avversari politici controllano quasi in tempo reale i profili social dei leader e/o candidati, proprio in attesa di un post su cui costruire una notizia; se poi il contenuto del post si presta a essere interpretato in senso negativo (per chi lo ha scritto), è una vera manna dal cielo. Quindi, prima regola: appena vedi il post, salvalo! Non sia mai venga rimosso. Basta catturare lo schermo in una immagine ed il gioco è fatto. Tempo richiesto: pochi secondi. E se il post viene eliminato, ecco che spuntano come funghi gli screenshot a futura memoria. E il povero mentecatto politico si ritrova a dover spiegare, scusarsi, controaccusare... di lasciar perdere, ovviamente, non se ne parla proprio.

Lasciamo la politica, che ce la dovremo sorbire a sufficienza di qui alle elezioni, e torniamo a casi più calzanti nella nostra vita. Un messaggio scritto in un momento di stress; video o foto imbarazzanti; una battuta che urta le sensibilità altrui: a chi non è capitato? Il problema è che pentirsi non è più sufficiente: una volta che quel messaggio/foto/battuta (più in generale: dato) ha lasciato il dispositivo su cui noi l'abbiamo creato, per finire all'interno dei meandri del servizio (social o sito) verso cui l'abbiamo postato, il controllo è perso. Non lasciatevi ingannare dalla possibilità di cancellare: essa esiste, funziona pure (anche se spesso non è immediata: è scritto nelle privacy policy...), ma non è sufficiente. Chiunque veda il nostro dato prima della cancellazione ha la possibilità, in vari modi (come quello che citavo all'inizio), di crearsene una sua copia, e poi di farne quello che vuole; compreso ri-postarlo da qualche altra parte o inviarlo a chi vuole. Esiste anche un servizio di archiviazione, utilissimo sotto molti punti di vista, ma deleterio per il caso che stiamo esaminando: archive.org, che permette di salvare una copia di qualsiasi risorsa internet accessibile tramite URL in quel momento, rendendo di fatto qualsiasi modifica  o cancellazione successiva inutile.

E la privacy? Dal punto di vista normativo, esiste la possibilità (rafforzata dal Regolamento Europeo che sarà applicabile dal prossimo maggio) di richiedere ai gestori dei servizi la cancellazione di qualsiasi dato personale, indipendentemente dal consenso concesso nel passato (il cosiddetto Diritto all'oblio). Benissimo, ma i tempi sono inevitabilmente lunghi e soprattutto il potere applicativo della normativa si ferma poi inevitabilmente davanti ai conflitti di giurisdizione per tutti quei servizi che risiedono fisicamente e legalmente all'infuori dell'Unione Europea.

La sostanza è che ogni nostro dato che finisce su qualche servizio internet viene immediatamente copiato e rielaborato in mille forme, a nostra insaputa e quindi senza che possiamo controllarle, ed eliminarlo completamente diviene impossibile. Anche se per assurdo esistesse la capacità di eliminarlo da ogni servizio internet, potrebbe sempre succedere che qualche persona poco simpatica ne tenga una copia privata e la ripubblichi dopo un po' di tempo. Ancora una volta, la nostra intelligenza è l'arma più potente che abbiamo per evitare brutte esperienze. I primi gestori della nostra privacy siamo noi. Ovvero: pensiamoci dieci volte prima di postare qualcosa.

Se tutto questo non bastasse, voglio proporre una mia riflessione. Uno dei romanzi più belli di John Grisham (La giuria) racconta di una causa contro la lobby del tabacco, accusata di aver deliberatamente pubblicizzato uno stile di vita che includesse il fumo come elemento di distinzione sociale, in modo da invogliare i giovani ad iniziare a fumare e quindi garantirsi clienti di lungo corso, a scapito della salute. Bene, a me sembra che è successa una cosa simile quando sono apparsi i primi social e se ne è cominciata a vedere la potenzialità economica: i giovani sono stati deliberatamente attratti verso servizi tutt'altro che fondamentali facendo leva sulla condivisione, concetto di per sé assolutamente positivo ma in questo contesto riproposto con un significato diverso, che va proprio nella direzione opposta rispetto a quello della privacy. Il risultato è che ora ci ritroviamo a dover combattere una guerra contro questo atteggiamento, dovendo ri-educare i ragazzi al corretto uso dei social (e degli altri strumenti digitali, ovviamente), in un'ottica di auto-protezione delle informazioni personali.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché dobbiamo farlo; o, in altre parole, qual'è il valore della privacy. Un primo motivo, forse secondario come importanza, è semplicemente quello che i nostri dati personali permettono ad altri di arricchirsi (si dice che i dati personali sono l'oro del terzo millennio). Ma il motivo principale è che le informazioni che ci appartengono permettono agli altri di farci del male: lo dimostrano i casi di suicidio e cyberbullismo che le recenti cronache ci hanno raccontato.

Infine, dal punto di vista tecnico, ho una piccola proposta: perché non indirizzare gli studi sull'intelligenza artificiale anche verso la possibilità di trovare in rete tutte le copie, anche rielaborate, dei nostri dati, in modo da dare al diritto all'oblio un potere maggiore?

giovedì 11 gennaio 2018

Batterie, processori, prestazioni e sospetti

Prima delle vacanze natalizie c'è stato lo "scandalo" Apple: gli aggiornamenti di iOS usciti in concomitanza dell'inizio delle vendite dei nuovi iPhone rallentavano le app per via della degradazione delle prestazioni delle batterie più vecchie di un anno. La spiegazione tecnica fornita, in realtà, sembrava avere senso, certo i tempi erano assolutamente sospetti, infatti alla fine si sono scusati, forse vittime oltre le loro effettive colpe. Comunque sia il tema dell'obsolescenza programmata non è una novità... diciamo che per certi versi è prassi comune.

Mi riferisco in particolare al malcostume dello sviluppo dei sistemi operativi e delle applicazioni: inserimento di funzionalità tendenti all'inutile, insieme ad un appesantimento generale delle risorse, supporto al vecchio hardware eliminato ad arte... conviene a tutti. E anche il sospetto che certe tecniche di programmazione moderne, insieme ai linguaggi di programmazione più recenti, vadano proprio nel senso di non-ottimizzazione per alzare i requisiti di prestazione dell'hardware. I primi programmatori, complici anche schede di memoria grosse come quadri e costose come un Picasso, centellinavano i bit... oggi si usano 64 bit (8 byte) anche per i valori booleani (cioè: vero e falso), perché le memorie costano poco ed i programmatori pure!

Ora (inizio del 2018) è il momento dei processori, con delle falle nella progettazione che potenzialmente (per fortuna al momento non si conoscono casi effettivi di sfruttamento) possono causare danni catastrofici. In pratica, ciò che per decenni abbiamo considerato come ipersicuro, e quindi posto privilegiato dove salvare le informazioni più sensibili, ora si è scoperto essere accessibile anche dai livelli di sicurezza più bassi... Per fare una similitudine, pensate ai caveau di una banca: porte spesse un metro, guardie armate, chiavi multiple, etc, e poi si scopre che c'è la porticina senza chiave da cui entra il personale delle pulizie. In ogni caso, poiché cambiare tutti i processori degli ultimi 10 anni non è possibile, si ricorre a soluzioni software, perfettamente funzionanti (si spera!) ma che causano degradazione delle prestazioni. Proprio come le batterie di Apple. E siccome a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina... non è che questa situazione (sicuramente involontaria, e per certi versi gestita correttamente) non venga sfruttata per introdurre un altro tassello nell'ottica obsolescenza programmata???

Ribadisco, non sto dicendo che il tutto è stato fatto ad arte: il dubbio che mi viene è che qualcuno sfrutti la situazione per indurre i consumatori (che non siamo solo noi, possono essere anche grandi multinazionali) ad acquisti altrimenti rimandabili. Personalmente ritengo che il calo di prestazione fin qui prospettato dai primi risultati dei test siano accettabili per la stragrande maggioranza dei casi; e dove non arrivasse la pazienza, dovrebbe sopperire il buon senso: meglio un po' di tempo in più per aprire la porta che trovarsi il caveau vuoto!