giovedì 8 febbraio 2018

Cosa c'entrano i Big Data con la "monnezza"?

Oggi mi è capitato di sentire una storia quanto mai interessante su come vanno le cose in questi tempi di innovazione selvaggia. Per ovvie ragioni di riservatezza, ometterò tutti i dettagli possibili, poiché in pratica si è trattata di un'introduzione ad un prodotto non ancora in commercio.

Una piccola premessa: non c'è modo di controllare le mie affermazioni, purtroppo posso solo chiedere di avere fiducia; io stesso, al di là di alcune foto viste su uno smartphone, non ho prove che quello che vi sto per raccontare sia completamente vero. Però è plausibile, ed è quello che mi interessa.

Il prodotto in questione tratta i rifiuti casalinghi in ottica di economia circolare: in pratica, ottenendo dai rifiuti materiale in qualche modo riutilizzabile, quindi un lodevole scopo, con finalità anche ecologiche. Il problema è che alla vendita questo prodotto costerebbe nmila euro, cosa che lo renderebbe un prodotto di nicchia, per veri ambientalisti che non sanno come spendere altrimenti i soldi. La soluzione? Aggiungendo opportuni "sensori", l'apparecchio fa una sorta di analisi dei rifiuti e tramite un collegamento internet, li invia a chissà chi per entrare a far parte di quel calderone di informazioni che oggi vanno col nome di Big Data. Attraverso la vendita di questi dati, il costo al dettaglio dovrebbe scendere parecchio, molto, ma molto di più del 50%, portandolo al livello di altri elettrodomestici molto comuni nelle nostre case (e ben al di sotto del costo di certi telefonini con la mela...). Geniale, no? Talmente geniale, che il primo posto dove stanno cercando di piazzare questi apparecchi, e Dio solo sa se quanto ce n'è bisogno, è Roma!

Per chi non lo sapesse: col nome Big Data si intendono quei sistemi che da gigantesche quantità di informazioni non strutturate (e, speriamo, anonime) estrapolano poche ma importanti informazioni utilizzabili agli scopi più disparati (e legali, s'intende).

Perché la storia è interessante? Beh, perché ci insegna che i nostri dati, inclusi quelli della nostra spazzatura, sono preziosissimi per qualcuno, tanto da poter essere venduti. Sono preziosissimi perché raccontano i nostri consumi; come  essi variano nel tempo; e magari anche la qualità dei prodotti che consumiamo. Informazioni fondamentali per chi programma investimenti nello sviluppo di un nuovo prodotto. E la vendita di tali dati è talmente remunerativa da giustificare uno "sconto" (diciamo intorno al 80%) che in ogni altro caso darebbe naturalmente adito a sospetti di truffa. Dimenticavo: il costo del collegamento internet non è a carico del consumatore, ma del produttore...

Questa storia, tra le altre cose, mi ha un po' aperto gli occhi su quello che sta diventando un mantra del mercato digitale, ossia l'Internet delle cose (ne avevo parlato, in modo alquanto critico, in un vecchio post): cioè collegare ad internet qualsiasi oggetto. Ed anche il costo relativamente basso di questi oggetti potrebbe spiegarsi, oltre che con l'assoluta mancanza di qualsiasi misura di sicurezza informatica, proprio con il principio di raccogliere dati e poi rivenderli profumatamente.

In conclusione, non posso che tornare al tormentone che ripropongo sempre ultimamente: pur di risparmiare nell'acquisto di un prodotto/servizio, siete davvero disposti a rinunciare a proteggere i vostri dati personali (anche se in fondo, si tratta solo di monnezza)?

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