sabato 19 novembre 2016

L'utilizzo consapevole degli strumenti digitali

Ricordo ancora quando entrai nel laboratorio dove avrei scritto la tesi di laurea, una stanza con qualche computer, che avevano la particolarità di avere un cavo coassiale che, attraverso dei connettori a T, passava da uno all'altro: mi spiegarono che era il collegamento di rete, al che io feci la domanda del secolo: "a che c**** serve mettere i computer in rete???". Era l'epoca in cui i computer erano roba da appassionati smanettoni, internet un nuovo giocattolo su cui il massimo dell'eccitazione era rappresentata dalle foto di Marte del primo rover americano, e i primi telefonini grossi come un libro arrivavano sul mercato (ma "non c'era campo"). La rivoluzione l'abbiamo vissuta senza nemmeno accorgercene, ed ora chiunque ha in mano un potentissimo computer miniaturizzato (che accidentalmente telefona pure), perennemente connesso senza fili ad internet, grazie alla quale siamo immersi in un mondo di informazione in tempo reale. Dove ci porterà il futuro, io non lo so, ma certamente la rivoluzione non è finita qui.

A dirla così, sembra fantastico, e senza dubbio lo è; ma vivendo la vita sia professionale che privata dal lato di "quelli che ne capiscono", la situazione non è così rosea. Questa rivoluzione è stata talmente veloce, e soprattutto guidata da interessi economici giganteschi, che ci siamo ritrovati in mano gli strumenti digitali senza preparazione. Il più grande cruccio con cui mi confronto tutti i giorni è che vedo, nella stragrande maggioranza dei casi, una mancanza di consapevolezza dei rischi che si possono incontrare nell'universo digitale. Tali rischi sono, a mio parere, di due grandi categorie: il primo è il trasferimento di nostre funzioni fondamentali (in primis: la memoria) a degli strumenti che, contrariamente a quanto ci fanno credere, non sono assolutamente infallibili; il secondo è rappresentato dagli utilizzi a scopo criminale, che in questo caso sono aggravati dal fatto che il mondo di internet è una sorta di terra di nessuno, in cui nascondersi è facilissimo.
Difendersi da questi rischi è possibile per ognuno di noi, anche senza preparazione specifica, a patto di possedere un substrato culturale in tema di informatica. Per intenderci meglio, faccio un paragone: la patente per la macchina. Spero nessuno pensi che essa sia solo una forma di estorsione voluta dei lobbisti delle scuole guida... poiché sulle strade si muore, è indispensabile che chi guida abbia una preparazione basilare, fatta sia di teoria che di pratica! E la dimostrazione che questa preparazione sia indispensabile è data proprio dal fatto che anche a chi non ce l'ha (ancora), si cerca di fornirla sotto forma di quella che si chiama "educazione stradale", perché anche chi non guida un'auto, ma si limita ad andare a piedi o in bicicletta, è parte del mondo stradale. Tutto ciò senza obbligare nessuno a prendere una laurea in ingegneria meccanica!

A pare casi estremi, con l'informatica non si muore. Ma si possono perdere soldi, oppure informazioni, che in certi casi hanno più valore del vile denaro. Inoltre, la cronaca recente ha raccontato diversi casi di quella che definirei perdita di dignità o di rispetto. Anche in questo caso, la parola chiave è prevenzione (perché "noi che ne capiamo" non possiamo far nulla se a monte sono state fatte scelte sbagliate), che è parente strettissima della consapevolezza, che a sua volta dipende dalla cultura.
Per le nuove generazioni, il compito di passare questa cultura è delle istituzioni educative (famiglia, scuola, associazioni); ma prima, ovviamente, devono essere le famiglie e gli educatori a dotarsi a loro volta di quello che prima ho chiamato substrato culturale. Se ciò non accade, il mio (personalissimo!) parere di esperto del campo è che gli strumenti digitali si trasformino in un boomerang e che siano di ostacolo, invece che di ausilio, al benessere comune.

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