martedì 3 gennaio 2017

Non tutto ciò che è gratis è gratuito

Grazie alla sua immaterialità, il mondo digitale si presta da sempre a fornire servizi o prodotti apparentemente gratuiti: motori di ricerca, sistemi di posta elettronica e di comunicazione di varia natura, programmi ed applicazioni, le più disparate informazioni attraverso milioni di siti web. Ma l'immaterialità è solo apparente: questi servizi risiedono su infrastrutture informatiche che costano barcate di soldi per l'acquisto, e ancora di più per mantenerle efficienti.
Tuttavia, le aziende che li forniscono sono tra le più ricche al mondo, in qualche caso anche più di aziende che invece vendono i loro servizi e prodotti. Come si spiega tutto ciò? Da dove arrivano i loro introiti? Certamente non da organizzazioni filantropiche.

Il primo e più ovvio metodo di incasso è la pubblicità generalista, inserita all'interno principalmente dei siti web: sistema assolutamente analogo alla pubblicità sugli altri media (televisione, giornali). Purtroppo in diversi casi è decisamente troppo invasiva, impedendo o ritardando la visione.

La questione diventa spinosa quando si passa ai cosiddetti banner pubblicitari: si tratta di una forma di pubblicità più subdola, perché basata sul numero di volte che viene visualizzata, o soprattutto cliccata, e viene quindi appositamente proposta per indurci al click. Questo avviene principalmente in due modi: con messaggi ingannevoli, volutamente simili ad avvisi (spesso di allarme); oppure con proposte mirate ai nostri interessi.
La tecnica di raccolta delle informazioni che permettono di capire quali sono i "temi" a cui siamo interessati si chiama profilazione, ed è uno dei mercati in massima espansione nel mondo digitale, per cui vengono appositamente studiate nuove e più precise modalità di estrazione di informazioni (se sentite parlare di BigData, nella maggioranza dei casi vengono utilizzati a questo scopo). Ora, di per sé indirizzare gli annunci pubblicitari sugli interessi di ognuno di noi non ha nulla di male, anzi personalmente preferisco gli annunci "mirati"; il problema è quali dati vengono utilizzati e come vengono raccolti.
La risposta è in realtà molto semplice: glieli diamo noi, proprio attraverso la nostra "attività" su internet. Tutto quello che facciamo viene tracciato, anche se con tecniche diverse. La più diffusa è quella dei "cookies" (si, proprio quelli citati nei fastidiosissimi avvisi che ci compaiono ogni volta che apriamo un nuovo sito), che altro non sono che piccoli pezzetti della nostra storia di navigazione; sono comunque memorizzati sul nostro dispositivo, e vengono utilizzati automaticamente dal nostro browser per "richiedere" gli annunci adatti a noi.
In molti altri casi, sono gli stessi strumenti che utilizziamo a raccogliere questi dati: legittimamente, perché il permesso di raccoglierli è esplicitamente concesso attraverso i "termini di utilizzo" o la "informativa sulla privacy" che nessuno legge prima di iscriversi! Se questa tecnica vi indigna, vi invito a riflettere sulle tessere (gratuite, si intende!) dei supermercati, benzinai, etc. che servono per ottenere sconti o premi: sono esattamente la stessa cosa, ed i costi sono ampiamente ripagati dai nostri dati o dalla fidelizzazione che causano.
Infine, ci sono le tecniche propriamente fraudolente, perpetrate attraverso virus, malware, oppure semplici truffe (cioè lo strumento fa cose non dichiarate); ma questo è un altro discorso.

Per completezza, cito altre modalità di profitto: sponsorizzazioni, donazioni (si, succede e funziona, per i privati), inserimento più o meno esplicito di prodotti/servizi aggiuntivi e non richiesti; o anche semplicemente fornendo anche versioni "premium" (quindi, con più funzionalità) del prodotto o servizio a pagamento.

Come fare per difenderci? Beh, qualcosa si può fare:

  1. I browser moderni includono la modalità di "navigazione in incognito", che in realtà non ci rende anonimi, ma evita che le nostre attività vengano registrate e riutilizzate da terze parti. In alternativa basta non accettare l'utilizzo dei cookies.
  2. Prima di iscriverci ad un nuovo servizio (o di prendere una nuova tessera), leggere sempre l'informativa sulla privacy, e sulla base di quella decidere in piena autonomia e consapevolezza se continuare con l'iscrizione o no; rinunciare non è peccato mortale, iscriversi solo perché i vostri amici l'hanno già fatto è stupido! (ed è proprio quello che sperano le grandi aziende informatiche)
  3. In alcuni casi (le organizzazioni più serie) all'atto dell'iscrizione è possibile selezionare quali utilizzi permettere dei vostri dati: non abbiate paura a scegliere.
  4. Non credere ai messaggi di allarme che vi appaiono (se non siete certi che provengano da programmi o siti affidabili). Esempio: se vi avvisano che è stato trovato un virus, con l'immancabile pulsante "clicca qua per riparare" (o simile), lasciate perdere, e invece fate fare un controllo supplementare al vostro antivirus.
  5. Evitate di installare tutti le app o programmi che vi vengono proposti (attenzione, può succedere anche durante l'installazione di programmi che magari avete esplicitamente scelto): scegliete solo quello che realmente vi serve.

In conclusione, a pagare per questi servizi siamo quasi sempre noi: non con il vile denaro, ma con i nostri dati. Che evidentemente sono molto preziosi, visto che che vengono pagati profumatamente, e con cui vengono realizzati lauti profitti. Sta a noi decidere se sono merce di scambio adeguata per i servizi che vogliamo utilizzare gratis.

Nessun commento:

Posta un commento